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Il linguaggio segreto dei fiori

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Il linguaggio segreto dei fiori
di Vanessa Diffenbaugh
Garzanti 2011

pp. 359
Traduzione di A. Mantovani
€ 18.60
 
Capita, quando un romanzo d’esordio viene consacrato come evento editoriale senza precedenti prima ancora che arrivi nelle librerie, che il clamore suscitato e l’attesa che ne è derivata con tutte le aspettative del caso, non siano poi adeguatamente soddisfatti dalla lettura del libro. Non sono certo pochi i casi infatti in cui i primi posti in classifica tra i romanzi più venduti non coincidano con egual valore in termini di contenuti e stile. Tuttavia, è cosa forse più rara ma accade, che il passaparola e la nascita di un fenomeno annunciato si rivelino effettivamente adeguati al testo pubblicizzato e, quando questo accade, è sempre una piacevole sorpresa. Quest’anno è stato sicuramente un anno denso di interessanti esordi narrativi, di cui spesso pubblico e critica si sono trovati concordi nell’affermare il valore della pubblicazione: penso per esempio a “Non ti meriti nulla” (qui la recensione), “Angelology”, “Tutto accade oggi” e via dicendo. Tra questi mi sento quindi di riservare un posto anche a “Il linguaggio segreto dei fiori”, romanzo d’esordio dell’americana Vanessa Diffenbaugh, che ha scatenato un’asta ferocissima (e milionaria) tra le case editrici per contendersi la pubblicazione di quello che è stato dichiarato dagli addetti ai lavori il romanzo più importante del 2011. Ora, tralasciando isterie e titoli, quel che rimane è senz’altro un esordio davvero sorprendente, con un romanzo dolceamaro dai tratti marcatamente autobiografici. È infatti nella sua personale esperienza di madre adottiva che l’autrice ha tratto lo spunto per creare la sua storia, in cui il peso dell’abbandono e la mancanza di affetto incondizionato sono macigni che segnano irrimediabilmente la vita della giovane protagonista, Victoria. Un’infanzia passata da una famiglia adottiva all’altra, in un vortice di adulti impreparati, spesso violenti o incapaci di assumersi la responsabilità di una bambina difficile, ribelle, incapace di dimostrare affetto. 
“Ero passata davanti alla Casa dell’accoglienza e vedere le ragazze alla finestra mi aveva dato una fitta allo stomaco [..]. La vita non avrebbe esaudito i loro sogni”
Come potrebbe? Non sono forse la famiglia, le prime esperienze di amore e protezione a rimanere impresse indelebilmente nel nostro cuore e in parte a formare il carattere? Tesi che forse sarà opinabile, ma almeno nel romanzo è un dato di fatto: Victoria non conosce l’affetto, il calore della famiglia, e ancora bambina ha già l’animo segnato dal dolore e dal senso di inadeguatezza e di rifiuto. Inevitabilmente, è portata a distruggere ogni speranza, ogni spiraglio di luce e amore si presenti nella sua vita, memore dell’unica famiglia che ha conosciuto e che ha distrutto. 
“Per un attimo ebbi di nuovo dieci anni, bambina disperata e insieme fiduciosa come non ero mai stata prima e non sarei mai più stata dopo di allora”
Il ricordo di quella breve felicità e della sua fine, avvolti nel mistero e svelati solo piano piano nel procedere della narrazione, l’hanno convinta dell’impossibilità per lei di essere amata e allo stesso tempo di amare, legarsi alle persone, anche solo semplicemente aprirsi all’affetto dell’amicizia. Incapace di esprimere ciò che è seppellito nel suo cuore, è ruvida e ritrosa, incapace di comunicare col mondo in modo tradizionale. Ma ha un talento speciale, un amore trasmessole da Elizabeth l’unico brandello di figura materna che ha conosciuto, che in qualche modo la terrà a galla. Se non sa esprimere con le parole le sue emozioni, ha infatti uno straordinario talento nel comunicare mediante l’antico –e purtroppo contradditorio- linguaggio dei fiori. Un codice che in pochi ormai sanno riconoscere, ma di cui Victoria diventa negli anni una vera esperta e a cui affida sentimenti, messaggi, emozioni, per se stessa e poi per gli altri, che in quella ragazza emaciata e taciturna riescono a cogliere il talento straordinario, quasi magico nella composizione floreale. Un codice –di cui alla fine del libro c’è un interessante dizionario- che Victoria fa venire voglia di riscoprire anche oggi, per dare un nuovo significato alla scelta dei fiori.
È un percorso duro, irto di ostacoli e straordinariamente reale, fatto di molte sconfitte e parziali vittorie, che l’autrice ha saputo creare intorno ad un personaggio straordinario, difficile da dimenticare, in cui contraddizioni, paure, incertezze, si mescolano per dar vita ad una donna che ci appare estremamente vera ed umana.
Una storia forte, che ci fa riflettere sull’innata capacità di amare e sulla forza del perdono, verso se stessi in primo luogo, per costruirsi una vita dai cocci del proprio passato.