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Pillole d'autore: Anna Banti

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Anna Banti (1895-1985), grande scrittrice italiana del Novecento e intellettuale di spicco affianco al marito Roberto Longhi, con cui ha fondato la rivista di arte e letteratura «Paragone». Viene ricordata dai più per il suo romanzo storico-artistico Artemisia (1947), di indubbia qualità, ma i passi scelti per questa puntata di "Pillole d'autore" riguardano un romanzo pubblicato vent'anni dopo, Noi credevamo. Uscito nel 1967, ripropone in chiave romanzata le memorie risorgimentali del nonno dell'autrice. 
Tra i passi, si incontreranno riflessioni sulla propria partecipazione agli eventi storici, ma anche passi metaletterari, esistenziali e lirici. Si noti lo stile, lontano dagli sperimentalismi degli anni Sessanta, e molto più vicino al piglio della prosa ottocentesca.


1.
Se voglio sfuggire a uno stato vegetativo, senza rimpianti o rimorsi, ho l'obbligo di guardarmi da estraneo, di esaminarmi con la stessa freddezza con cui ieri, io, nemico della crudeltà, auguravo a mia figlia nel suo fiore una morte precoce. 
Oggi sono un rudere, un sasso che precipiterà nell'abisso e sarà ridotto in cenere e fango: da due anni sono uscito di scena. Ma due anni fa bollivo di sdegno, ero ancora uno scoglio percosso: mi ribellavo a un mondo in cui ravvisavo un solo giusto, me stesso. Avevo ragione, avevo torto? Dalla soluzione di questo dilemma dipende la mia intima tranquillità, il riconoscermi coerente in tutte le fasi della mia vita. Non vorrei scoprire di essermi amato troppo.

2.
Garibaldi, triste a dirsi, non era, anche in quel tempo, universalmente amato: molti lo giudicavano una testa matta, un avventuriero, un guastafeste. Constatarlo e ardere di sdegno fu tutt’uno.

3. 
A ben riflettere, [...] non ho mai ammirato sinceramente gli uomini e ancora meno le donne di penna. [...] Dai romanzi mi son sempre tenuto lontano, non mi piacciono le favole e diffido dei romanzieri. Per chi scrivono costoro? Come possono giocare la loro vita componendo storie inventate ? Le donne le leggono avidamente: ma come possono gi autori contentarsene? Va bene, anche le donne sono un pubblico. E tuttavia scrivere per un pubblico cosiffatto non mi piacerebbe. Sono intelligenti, le donne? Se le considero una per una non mi sentirei di negarlo, e ho sempre notato che nell'infanzia sono molto più acute e pronte dei ragazzi. Poi superata l'adolescenza, fanno massa e si distaccano da noi, assumendo un carattere comune che guardiamo con diffidenza. 

4.
Ma ecco che un pensiero mi rianima: i romanzieri scrivono storie perché qualcuno le legga: ci contano, ci si affannano. Io, invece, non scrivo per nessuno […] Non vorrei cadere nella trappola della dichiarazione autobiografica, insomma delle “memorie” […]. Ritengo infatti che il memorialista non possa esser sincero. Esser stato testimone e vittima di soprusi e tirannie non libera da una magari inconscia autocompiacenza e dalla tentazione di tacere le debolezze, le meschinità che ogni uomo, in ogni condizione, inevitabilmente commette.

5.
Così, sbocconcellando la vita a porzioni di ventiquattr'ore, noi ci lusinghiamo di durare eterni.

6.
I giovani meridionali usano corteggiare l'innamorata passeggiando la notte sotto le sue finestre. Altrettanto feci io, per un'ora buona, davanti all'Hotel d'Inghilterra dove Garibaldi s'era trasferito dopo aver consegnato al re la nostra povera capitale esautorata: doveva partire all'alba del 9, e questa veglia mi fu dolce come una veglia d'amore. Commemorai così la mia gioventù perduta, la ragazza che avrei potuto avere e non ebbi: ricordo ancora l'esaltazione romantica con cui guardavo in su, ogni tanto e mi pareva davvero che una donna si sarebbe affacciata, quella Italia che poi gli scultori di inutili monumenti esibirono in figura di popputa matrona incoronata. La mia Italia era invece una smunta schiava che aveva cambiato padrone.

7.
Mi ero mosso a tentoni, ora sapevo quel che avrei fatto: da semplice volontario mi sarei unito a Garibaldi fino a Roma, contro piemontesi e francesi. Questa volta nulla avrebbe potuto trattenermi, non avrei perduto un'occasione di combattere, di obbedire: il mio vecchio sogno frustrato da troppe tristizie.

8.
Riconoscere di aver torto, di avere agito male è, a mio avviso, il massimo fra gli atti di coraggio. Ma per riconoscerlo bisogna esser convinti di aver errato: io non lo ero affatto, ma mi ripugnava egualmente ostinarmi ad aver ragione, fermarmi sulle idee che più mi erano state care, su cui avevo giocato superbamente la vita. 

9.
Fu appunto durante quel viaggio che i casi della mia povera vita mi apparvero nelle forme di uno di quei romanzi d'avventura che in gioventù avevo sdegnato. A ben riflettere, che altro motivo aveva avuto la mia carriera di agente settario se non una scelta di vita romanzesca, il gusto dell'ignoto? Molti giovani delle mie stesse idee avevano cospirato come me, ma stando a casa propria, accudendo alle proprie faccende, e coi medesimi rischi. Io avevo invece preferito le missioni clandestine, il recapito di messaggi cifrati, gli incontri furtivi, lo scorrere per monti e pianure, eterno scommettere. E anche il mio amore per la natura selvaggia, per gli esseri primitivi, erano romanzo, non letto, ma vissuto. Così i miei contatti coi pescatori, così la folle corsa notturna verso Melito. Romanzo, romanzo. Ed ecco, l'eroe finiva miseramente, da burocrate pasticcione. Né si poteva voltar pagina. 

10.
La lotta si è conclusa in un fallimento: voglio dire che mi ritrovo al punto di partenza, cioè di non sapere se ho camminato per vie diritte o storte. E il male non è tutto qui, perchè l'età e la stanchezza non mi hanno guarito dalla smania di andare in fondo, di rovesciarmi come un guanto e scoprire in me il seme di ciò che chiamiamo destino, e dipende invece dallo scatto delle nostre decisioni. Devo pur trovare il bandolo della matassa, capire se una errata interpretazione delle idee che ho sostenuto sia responsabile o no di quel che è successo: l'Italia di oggi, gretta, povera, superba. Ho paura. Paura di non riuscirci e morire così è come non esser nato. 

11.
In questa stanza sono con me esiliati e rinchiusi gli oggetti che ho familiari, superstiti della mia casa di Reggio o portatimi in dote da Marietta: essi convivono, ma, come i nuovi italiani, non fraternizzano. 

12.
Fra poco il cuore cesserà di battere ed è curioso che adesso non m'importi più di lasciare i miei eterni problemi insoluti: il mondo è uguale a come l'ho trovato nascendo, sordo e falso. Tanto dire che ho vissuto invano. Non saprò mai se agendo diversamente, con più accortezza e minore orgoglio, non avrei meglio giovato alla realizzazione delle idee che ancora credo giuste: e questa è la mia sola salvezza.


Selezione dei passi a cura di Gloria M. Ghioni