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Il Buzzati innamorato

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Un amore

di Dino Buzzati
I ed. 1963 Mondadori


Ah l'amour, l'amour! Ricordate quell'autore dall'immenso potenziale immaginifico, profondamente devoto ad una provvidenza laica, abile imbanditore di buffet ed aperitivi prosastici? Ebbene anche quel simpatico affabulatore ha subito un momento di defaillance. Ed ecco allora che il periodare s'allunga, le distanze s'accorciano, sparisce la punteggiatura in un confusionario stream of consciousness, le pupille si dilatano e brillano stucchevolmente a più riprese. Ma andiamo con ordine. Antonio Dorigo è un architetto prossimo ai 50 anni, scapolo e con il vizio delle donne. Siamo nella Milano del 1960, la legge Merlin sulle case chiuse è passata da poco (ma altrettanto poco interessa a Buzzati, che non le dedica manco un accenno) e il nostro Dorigo conosce nel bordello gestito dalla signora Ermelina la Laide, una ballerina della Scala, graziosa e minuta, giovanissima. E' un colpo di fulmine. Ed iniziano le manie, le ossessioni, le turbe, gli incontri fugaci e le prese di posizione. Una vicenda non già di latina memoria elegiaca, ma impressa dal medesimo torchio passionale. Un ballo frenetico e pacato allo stesso tempo, a corrente alternata. Con i due ballerini-personaggi che interpretano sul palcoscenico delle righe una lunga tiritera d'abbracci ed allontanamenti, volteggi, prese e casquet. Ma lei è come impersonale, eterea, lo sfrutta platealmente non concedendogli le stesse attenzioni. Poi, arrivata all'apice, sfiorato l'essere soltanto una marionetta ripiena di sangue e di bile, allora si materializza, si rende conto della sua corporeità, o meglio della sua individualità. Ed eleva il servitium amoris di Dorigo ad un singolare e sotteso foedus, temprato dalla consapevolezza di una gravidanza e da un infantile istinto materno. Non proprio una maturità raggiunta, ma un desiderio sognante d'età adulta.


Senza la comicità di un conte Mascetti monicelliano o la morbosità esplicita ed irrequieta dell'Humbert di Nabokov, Dorigo rimane un personaggio borghese. E come tale imbrigliato in un mondo di ragnatele a cui s'era aggrappato nella paura di cadere. L'amore per la Laide è innanzitutto un nuovo conoscere se stesso, quel sè intimo e nascosto, recondito, schivo agli sguardi indiscreti di chiunque. Ma non c'è nessuna liberazione, nessuna rivelazione a redimere l'architetto dalla sua malattia borghese. L'amore è, in un certo senso, autoreferenziale. Vive in una propria dimensione e, come una droga, non è che migliori il tenore di vita, ma allevia la sofferenza del vivere senza. E' lenta la consapevolezza di quel che gli sta accadendo e vari e fallimentari i tentativi di resistergli. Un atteggiamento irrazionalrazionale insomma, che non smette d'essere sempre misurato e contenuto anche nei suoi peggiori momenti di sfogo. Ed ecco che già il registro, il tono, lo stile si qualificano come borghesi, casti e pudici; al punto da evitare crudi riferimenti espliciti al sesso, descrizioni e fantasie: Bassani al confronto è pornografia, Lawrence un pervertito.

Scritto indubitabilmente bene, ma non ai livelli soliti, Un amore è una storia d'ordinaria frustrazione, uno sfogo che sconfina al giorno d'oggi nella faciloneria. Opera di certa introspezione psicologica, è fin troppo sentita per non avere intersezioni con l'autobiografia. Tanto da passare in alcuni momenti dalla terza alla prima persona, in un anacoluto naturalissimo. Ma nella sua lieve pesantezza, nella sua monotematicità, nella sua tormentata ridondanza la sua forza.

In ogni caso vien da chiedere: dove s'è andato a cacciare il caro vecchio Buzzati? In un amore, la risposta, e nulla più.


Adriano Morea
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