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"Grano e Spade" di Riccardo Paoli

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Grano e spade
Riccardo Paoli
Società Editrice Fiorentina, 2011

"Ancora un poco e la vista delle mura del paese avrebbe  trasformato il parabreza dell’auto in una cartolina.
Pensai alla storia da raccontare."

Bri è un ragazzino che si trova in vacanza con la sua famiglia a Montalcino, dove non c’è internet né televisione. Il padre per rendere la vacanza meno noiosa narra al figlio le avventure di due giovani scudieri: Benuccio, un giovane scudiero al fianco di Iacopo dei Pazzi, e Tubrino, al fianco del Manente degli Uberti detto Farinata, combatteranno per guadagnarsi fama e onore. Viene descritta una locanda fuori Siena: la treccola “Oste Senese”, non lontana dalle zone della battaglia, la cui padrona madre ha una giovane figlia, Amalia, bella come ogni cavaliere può desiderare, in cerca dell’amore vero ma in conflitto con la madre che la vuole sposare unicamente a qualche ricco cavaliere. Sullo sfondo la cruenta battaglia di Montaperti, il conflitto tra guelfi e ghibellini e l’odio tra fiorentini e senesi.
Benuccio e Tubrino scopriranno in combattimento, oltre alla tristezza della guerra, la gioia dell’amore e dell’amicizia. Nonostante venga raccontato uno degli episodi più violenti della storia dei comuni, il romanzo lascia aperta una speranza, un piccolo spiraglio di salvezza e felicità.

Il romanzo “Grano e spade” ad una prima lettura dà l’impressione di esporre un contenuto semplice e scontato; in realtà, se si entra in maniera più approfondita nella vicenda, si notano tematiche ben precise e nuove, sia per quanto riguarda il contesto storico, sia per quanto riguarda l’intento pedagogico dell’autore. Il bambino rappresenta il lettore che vuole sapere, mentre il padre è il narratore che ha il desiderio di raccontare. La storia si svolge in riferimento a due città ben precise: Firenze e Siena e al loro passato guelfo e ghibellino. L’ambiente, oltre alle due città, dove si svolge la vita presente dei due interlocutori e dei loro familiari, è la splendida campagna toscana. A stimolare ancora la curiosità non mancano vocaboli dell’antico gergo toscano.
Maria Teresa Bruschi