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Beatrice Talamo e la sua narrativa in punta di piedi

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Io, Velocia
di Beatrice Talamo
Del Vecchio Editore, 2010

con una nota introduttiva di Dacia Maraini

pp. 136
€ 14.00

Ecco qui i racconti di Beatrice. Hanno la stessa brevità lieve e intensa dei quadri. Sono mini interventi ironici sui sensi scoscesi. Piccoli ritratti dall'aria distratta che graffiano nel profondo. Piccole azioni che si inseguono e muoiono nello spazio di un volo. (dalla Nota introduttiva di Dacia Maraini, p. 7)

Prova singolare, questa di Beatrice Talamo, ai più conosciuta come docente universitaria di Letteratura tedesca (presso l'Università di Lingue di Viterbo) e traduttrice. Ma accanto all'attività accademica, vi sono anche i disegni, i video d'arte, e la scrittura. Come rileva Dacia Maraini nella sua empatica Nota introduttiva, il confine tra quadro e scrittura è molto labile per Beatrice Talamo. Io, Velocia racchiude un piccolo mondo d'immagini, di non-eventi o, tuttalpiù, di eventi mancati: i testi, sempre molto brevi (al massimo di qualche pagina, più spesso occupano un breve rettangolo incorniciato dal margine bianco molto generoso), sperimentano una scrittura a tratti psicologica, a tratti decisamente impressionistica. 

Una grande liricità contraddistingue tutti i testi, forse definibili come "poemetti lirici" o "prose liriche", alternate a poesie e a numerose altre prove, che rivelano una deliberata commistione di generi. Tuttavia, si nota una costante: i toni pastello dominanti rivelano sfumature grigiastre di malinconia e nostalgia. Le donne protagoniste, perlopiù io-narranti, sono osservatrici del mondo, ma apatiche e in stallo, piene di sofferenza per la solitudine o per una parziale autoemarginazione. Colte in uno di questi momenti di assenza-osservazione, a volte un evento esterno smuove dall'immobilismo e dall'alienazione (o autoesclusione dalla vita): momenti minimi possono portare a prese di coscienza illuminanti. E non a caso sono epifanie improvvise a generare rivoluzioni minime, ma pur sempre rivoluzioni: bastano il cenno di una bambina o un evento naturale a dare un appiglio di speranza. E qui, solitamente, la narrazione si interrompe, lasciando il lettore sospeso: non sapremo mai se il cambiamento si realizzerà, o se la protagonista troverà la forza per reinventarsi. 

La consapevolezza letteraria dell'autrice porta poi a inserire numerose figure simboliche: così ci sono vere e proprie proiezioni al di fuori di sé, e spesso torna il tema (nonché la parola-chiave) del "saltimbanco", sia nell'accezione baudelairiana clawnesca, sia secondo la tradizione del Pierrot intristito. Inoltre, ricorre l'immagine della farfalla, emblema di libertà ma anche testimone della natura effimera dell'esistenza, nonché di un continuo sorvolare le esperienze, senza mai soffermarsi davvero. Ecco lo stralcio di Luna, in cui si svela l'origine del titolo:
Ma cosa dice quella strana farfalla che sembra fare il verso alle barche, che si scalda come gli innamorati al sole di Napoli? Che vola vicino ai gabbiani, instancabile? - Il suo nome. Ha corso talmente tanto nella sua vita che s'è trasformata in farfalla. Lei, Velocia. Antica compagna di fantasie stralunate, di notti d'angoscia e di albe irrequiete. Ambica di deliri e di passioni sconsiderate e morbose. Unica alternativa poetica sorta da un sogno, mille anni fa. Piccola farfalla veloce, Velocia. Riemersa d'improvviso senza che me n'accorgessi. Simbolica creatura femminile che, per salvarsi, per salvarmi, ha dovuto nascere e poi scomparire. Aspettando il giusto tempo perché fosse possibile vivere. E scrivere. Di lei, di me, del saltimbanco. (pp. 55-56)
Come si può notare, una prosa enigmatica, a tratti allusiva a un pregresso non esplicitato, a un contesto solo parcamente descritto. Si crea un'atmosfera onirica, e in questa dimensione ucronica non resta che lasciarsi trasportare. Sentimento del passato e delle occasioni mancate tempesta le prosette di insoddisfazione e desiderio di una svolta, ma anche di condivisibili rendez-vous: mai si saprà l'evoluzione degli eventi narrati; dunque, mai la conclusione segnerà un percorso compiuto.
Inoltre, i numerosi richiami interni all'opera assicurano non uno solo, ma molti fili rossi: seguirli non è sempre semplice e, per quanto sia affascinante il cammino, la scrittura a tratti si fa tanto privata - e quasi "terapeutica" - da escludere il lettore.
Dopo questa lettura di prosette, liriche, riflessioni e impressioni, viene da chiedersi cosa potrebbe fare Beatrice Talamo alle prese con un'opera d'ampio respiro, impreziosita dalla sua eleganza formale ma con il mordente e l'energia di una vera narrazione.

Gloria M. Ghioni