in

Il canto del tempo

- -







Giuseppe Cappello
IL CANTO DEL TEMPO
Aletti Editore 2010
In allegato alla rivista Orizzonti n°37 Giugno - Ottobre 2010

In distribuzione presso tutte le librerie Feltrinelli sul territorio nazionale
Elenco completo punti vendita www.rivistaorizzonti.net


“L’ispirazione è roba da dilettanti” dice Chuck Close. Applicare questo concetto alla poesia diventa rischioso ma leggendo i versi di Cappello si avverte una certa incapacità di immaginare il momento che lo ha condotto alla scrittura. Un ritmo incisivo seduce passaggi di ombre classiciste, di elementi sempiterni della Natura e tutta la sacralità delle odi tessute nel Tempo sembra essersi sedimentata nei suoi giorni. Ecco perché forse non si sente l’ispirazione e ogni cosa non è che certezza seppure dispersa nella “matassa di Crono”. Le interferenze temporali sono scandite dai cicli della Natura, elementi che contengono la fine, che sono gloria perché non temono la morte. Così anche qualcosa di dannatamente umano come l’Amore può giocare ad essere infinito solo mettendo da parte tutte le bugie che ci hanno insegnato sull’eternità. Dalla caduta dell’eternità si erge una storia, un passato “che veste il suo abito d’oro negli arabeschi del ricordo” e il tentativo insidioso di cercarlo di nuovo è una trappola ma può servire a conoscersi con l’auspicio di allinearsi come soldati che hanno per scudo dell’intelligenza “il bronzeo abito del futuro”. Si traccia una biografia fatta di ore, giorni

“Si sciolgono gli istanti l’uno dopo l’altro
Ma non illuminano ancora il nuovo volto del vero
Non vedo ancora il nuovo volto del vero”


Sembra non si provochi mai la perfezione, non traspare nei versi alcun dubbio che questa possa essere un equivoco, Cappello mostra una fede raccolta intorno a paesaggi e luoghi del mito e dell’anima, invocando Muse e dee dell’Olimpo eppure scorrendo le pagine si colgono segni di cedimento, accenni ad un “lieve collasso” che si manifesta anche nell’apparizione di elementi della civiltà moderna come un tappo di lattina

“ il grano cresce ancora fra le rocce
L’alluminio di un tappo di lattina
Nel calice dei giorni l’ambrosia dei millenni”


Si confessano così piano scenari di incomprensione, dove

“ Nei tagli di cielo e terra la firma dell’animale eretto”


Sembra essere un geroglifico. Questo verso unico asciuga la carta di ogni parola superflua quasi fino a rinnegare il linguaggio usato fino ad ora e dare spazio a visioni.
L’agitazione si smorza nei versi che evocano i colori grigi con cui si stampa la malinconia dei paesaggi del Northumberland, fumo, birra, slang vissuti lasciando odore di ferro nelle narici , probabilmente ricordo di un viaggio piovoso al ritmo di blues.