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Memorie a perdere, una terza (tardiva) lettura

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Memorie a perdere.
Racconti di ordinarie allucinazioni
di Luigi Milani
Prefazione di Francesco Costa

Edizioni Akkuaria, Luglio 2009
pp.125 ca
€ 12

Suggestivo, estremamente suggestivo. Come già ravvisato dai miei colleghi nelle due precedenti puntate de "una recensione di Memorie a perdere" (clicca per leggere la prima e la seconda), la raccolta dei 13 racconti, ognuno con le sue estrinseche caratteristiche strutturali, ognuno con il suo ethos precipuo ma non discordante con l'insieme, rappresenta una specie di imprinting di situazioni e comportamenti del singolo e della società contemporanea, di cui si è impossibilitati a liberarsene, come i vuoti a non rendere di bottiglie e simili. Perché mai imprinting e non semplici ricordi? Prendendo in prestito il termine coniato da Konrad Lorenz, queste memorie a perdere stabiliscono delle linee comportamentali sotterranee e nascoste, impresse a fuoco nelle ritorte volute cerebrali dei personaggi dei racconti. E' il caso di Van Damme, aneddoto sul "prestigio" d'aver un parente stretto defunto. L'imprinting, però, non avviene a livello cosciente. Il sottotitolo della raccolta accorre in aiuto: "Racconti di ordinarie allucinazioni". Le esperienze vissute dai personaggi di Milani sono percepite, come d'altronde sarebbe per ognuno di noi, come delle allucinazioni, delle deviazioni più o meno distanti da ciò che viene idealizzato come il reale. La svolta, quindi, avviene nel subconscio, in uno stato di semi-incoscienza o di incomunicabilità con il reale (cfr.: Quella notte sull'altana) per poi trasformarsi, alla comprensione del gap, in una sorta di euforia quasi isterica o ancora in un profondo senso di inquietudine, primo sintomo di consapevolezza della propria fragilità. Non si intenda questa come una generalizzazione e le parole di Milani come trasudanti morale e tante altre belle cose: non tutti i racconti sono così di facile ed immediata interpretazione, alcuni abbastanza criptici necessitano di lettori attenti e ruminanti. L'insieme è coeso e coerente, cucito e ricamato magistralmente da uno stile agile e leggero, sapientemente dosato nelle variazioni di tono (assolutamente non ingenue, ma, a mio parere, frutto di una politica di slanci e riprese, per non annoiare il lettore), con un paio di piccoli refusi che non inficiano sul valore dell'opera. Una lettura, a tirare le somme, piacevole e suggestiva.


Adriano Morea



P.s.: Colgo l'occasione per invitare i miei colleghi e l'autore ad un menage a quatre, il cui risultato sia pubblicato sotto forma di intervista in questa sede. A presto!



Vi ricordiamo che il libro è stato recensito da Rodolfo Monacelli (clicca qui) e Giorgio Guzzetta (clicca qui)