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L'ora di religione di Saramago.

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Caino
José Saramago
Feltrinelli 2010
Pp.142
euro 15.00


Diciotto anni dopo lo scandalo causato dalla sua versione del Vangelo e che lo ha costretto a vivere sull’isola di Lanzarote, José Saramago torna a occuparsi di temi biblici con “Caino” e lo fa con l’irriverenza e la sagacia di sempre. La casa editrice Einaudi si è rifiutata di pubblicarlo, la Feltrinelli ha colto l’occasione al volo e il romanzo ha scalato subito la vette della classifica delle vendite in Italia.

Se in “Il vangelo secondo Gesù Cristo” lo scrittore lusitano rivisitava il Nuovo testamento e la questione dell’umanità di Cristo, nell’ultimo lavoro è il Vecchio testamento ad essere preso in esame e Caino, il più famoso fratricida, diviene il protagonista.

Il primo degli assassini, dopo aver ucciso il fratello Abele a colpi di mascella di asino perché dio (Saramago usa sempre il minuscolo) era ingiusto e indifferente alla sua devozione («Ho ucciso Abele perché non potevo uccidere te, nell’intenzione sei morto.»), vaga non solo nello spazio ma anche nel tempo, un po’ Ulisse di Omero e un po’Orlando di Woolf,  muovendosi tra gli scenari del Vecchio testamento: la misteriosa storia di Lilith, la (de)costruzione della torre di Babele, il sacrificio di Abramo, la prova divina del fedele Giobbe, la distruzione di Sodoma e Gomorra e l’arca di Noè. Può accadere di tutto in questa rivisitazione, come il cherubino, posto a sorvegliare come un buttafuori le porte del Paradiso, possa essere corrotto da una languida Eva, che l’angelo inviato da dio per fermare la mano di Abramo possa arrivare in ritardo a causa di problemi con l’ala destra e caino possa ritrovarsi a essere l’improbabile salvatore di Isacco.

Nel romanzo, Caino non è solo un fratricida condannato alla colpa eterna, somiglia di più a un viandante a cavallo della sua mula, non più negativo ‘tout court’, un ribelle condannato, da un dio “malvagio, rancoroso” e incapace di amare gli uomini.

Magistrali sono i dialoghi tra caino e dio, dalla retorica illuminista l’uno, troppo umano e al limite del comico l’altro.

«Saramago ha scritto un libro che non ci lascerà indifferenti, che provocherà nei lettori sconcerto e, forse, qualche angustia. Però, amici, la grande letteratura è fatta per conficcarsi in noi lettori come un coltello nella pancia. Non per addormentarci come se ci trovassimo in un fumoir di oppio e il mondo fosse pura fantasia», parola di Pilar del Río, amatissima moglie e traduttrice del grande scrittore.

Luisa Roberto