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Canto elegiaco per un angelo terribile

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Lei così amata
di Melania G. Mazzucco

BUR, 2000

Ci sono uomini e donne di cui non si può scrivere una biografia senza che questa, inevitabilmente, sconfini in qualche altro genere letterario. Un’imparziale, circostanziata determinazione dei fatti – doviziosa raccolta di viaggi, parole, di tutti i "fece" e i "disse" – sarebbe infatti non altro che una gabbia.
Lei così amata, come libro, appartiene a questo limbo indeterminato. Non è un romanzo: il solco della narrazione è disseminato di luoghi, documenti, lettere, libri, fotografie; ma non è neanche una biografia: perché la voce della narratrice è forte, è stata lei a raccogliere tutte queste tracce nei suoi “anni Annemarie”, inseguendo l’immagine sfuggente del suo soggetto.
In sostanza, Lei così amata è tutte queste cose insieme: romanzo, biografia, ricerca. Ma anche canto elegiaco, esorcismo di una fascinazione.

Per chiarire quest’ultima affermazione occorre pensare ad Annemarie Schwarzenbach: a “lei così amata”. Figlia di un magnate svizzero della seta, spirito nomade dedito alla scrittura, all’archeologia e alla fotografia; grande viaggiatrice in fuga dal suo eden – la villa di Bocken – e alla ricerca di un altrove irrimediabilmente perduto, irraggiungibile. Una donna giovane e seducente, dalla vita intensa e straordinaria: un’anima senza pace, direbbe qualcuno; una degna figlia del primo Novecento, direbbero altri.
Melania Mazzucco cerca, con la dovizia di chi ha subito il fascino terribile di una persona e cerca di inciderlo sulla carta per elaborarlo, di regalarci un ritratto di Annemarie che sia più completo possibile: riportando stralci delle testimonianze epistolari dei suoi amici, soprattutto Klaus ed Erica Mann (figli del premio Nobel Thomas), o vagando tra le stanze del “paradiso perduto” di Bocken; seguendo i suoi passi in Africa, o frugando tra le fotografie scattate dalla madre di Annemarie, quasi per imprigionarne la magra figura sulla pellicola. La Mazzucco, nel tentativo di descriverla, si spinge fino al regno della poesia, lambendone i confini con una prosa che si adombra di lirismo: lentissimo, a volte languido, a tratti decadente (proprio come gli scritti di Annemarie).

Annemarie Schwarzenbach: efebica e pallida silohuette vestita da marinaio che nelle serate di Berlino affascina ricche signore di mezza età, viaggiatrice solitaria tra le rovine del deserto e le immense foreste equatoriali.
“Annemarie, ora ragazzina-maschio, ora marinaio, ora giovane donna in fiore snella nell’abito da sera, ora dandy in cravatta, le labbra dipinte col rossetto, ora sposa-ragazzo, magrissima nei calzoni sformati, ora donna segnata, appare sempre inquieta e sfuggente, di rado col sorriso sulle labbra. In tutte le fotografie, per volontà del fotografo o sua, irraggiungibile, misteriosa, come un angelo senza sesso, serio e terribile”
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Annemarie, descritta nella sua indescrivibilità. La compita postura del biografo cede alla celebrazione, nella sua viltà, nei suoi vizi e nella sua bellezza, di un’immagine che resta, dopo quattrocento pagine, leggera come un’ombra (una creatura "aerea" in mezzo a tante irrimediabilmente "terrestri") eppure indimenticabile.

Tuttavia, dire che il suo fascino è uguale a quello di tanti spiriti maledetti sarebbe orribilmente riduttivo. Annemarie Schwarzenbach strega il lettore quanto tutti coloro che ebbero occasione di conoscerla per un tratto particolare, che la rende sovrannaturale eppure, in questo, profondamente umana: una ricerca estrema, incondizionata di amore e attenzione.
Alla fine del libro, ciò che ricorderete non è l’angelo terribile ma una figura fragilissima, con un foulard al collo e una sigaretta tra le dita, uno sguardo perennemente inquieto che strappa agli altri un sentimento unico e speciale. Così accade, ad esempio, con Renée, madre tirannica ed energica; così con Erica Mann, amica-amante speculare alla madre, sempre desiderata e mai posseduta veramente. Ciò che resta di “lei così amata” è questa grazia ruvida e impalpabile, innocentissima nella sua dannazione. Tra i fiumi di inchiostro, non una frase delle sue cronache decadenti o dei romanzi suoi o degli amici, ma una parola soltanto: guardami.

Laura Ingallinella