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Le "strane creature" di Tracy Chevalier

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Strane creature
di Tracy Chevalier
Neri Pozza Editore, 2009

“Noi cacciatori di fossili trascorriamo ore e ore, giorno dopo giorno, davanti al mare, con ogni tempo. Abbiamo le facce scottate dal sole, i capelli arruffati dal vento, gli occhi perennemente strizzati, le dita screpolate. Le nostre scarpe sono bordate di melma e scolorite dall’acqua salmastra. La sera rincasiamo con le vesti sudice e spesso senza aver trovato nulla. Ma siamo pazienti e volenterosi e non ci lasciamo scoraggiare se ci capita di tornare a mani vuote. Ognuno di noi ha le sue manie […] ma siamo attenti a ogni dono che le scogliere hanno da offrirci. C’è chi vende ciò che trova e chi lo custodisce gelosamente. Prendiamo sempre nota del luogo e del momento in cui abbiamo scovato i nostri tesori e li mostriamo con orgoglio. Li studiamo, confrontiamo con diversi esemplari, formuliamo teorie sulla loro origine. Gli uomini le scrivono e le pubblicano sulle riviste scientifiche, noi dobbiamo limitarci a leggerle, purtroppo.”

Strane creature di Tracy Chevalier è uno di quei romanzi che ti avvolgono con la loro “aura”. Ambientato a Lyme Regis, nel Sussex, racconta la storia di Mary Anning che all’età di soli dodici anni dette un eccezionale contributo alla paleontologia trovando il primo esemplare completo di ittiosauro al mondo. L’autrice stessa ha dichiarato di voler rendere omaggio a una figura messa in ombra dalle ricerche ufficiali dei primi studiosi di scienze naturali che allora si interrogarono per cercare di capire di che esemplare si trattasse. Questa storia viene raccontata mediante un’amicizia femminile, quella con Elizabeth Philpot trasferitasi a Lyme da Londra assieme alle sue sorelle. La profondità di questo legame, colta nel suo progredire all’interno del romanzo, porta il lettore a una consonanza interiore con le due eroine cercatrici di fossili, e a una vicinanza che raramente si sviluppa con tale forza. A permetterlo la capacità di rendere “tangibili” e reali queste figure, scolpendo a tutto tondo le relazioni circostanti e un mondo in cui qualcosa pian piano cambiava. In molte pagine si trovano degli omaggi ai romanzi di Jane Austen (una delle sorelle Philpot è una profonda ammiratrice delle sue opere) ma l’autrice opera una sorta di capovolgimento laddove ci presenta delle donne che nel cuore dell’800 non hanno bisogno di un uomo per vivere, che dedicano la loro stessa vita a passioni come la botanica e i fossili e che, per una spinta e un bisogno tutti interiori, cercano di formare una propria cultura leggendo i libri di Georges Cuvier. La loro autonomia e indipendenza di giudizio le pongono in vistoso risalto rispetto a una società di gretti riti quotidiani nella quale solo gli uomini si considerano depositari di ogni conoscenza e le donne devono faticare per rivendicare le proprie scoperte. Come ne “La ragazza con l’orecchino di perla” mi è apparsa incontestabile la capacità di Tracy Chevalier di “dipingere” le atmosfere e i paesaggi che, romanticamente (in senso squisitamente letterario), contornano lo sviluppo interiore dei caratteri. E inoltre ritengo che il riferimento a vicende storiche costituisca un forte motivo di interesse del romanzo perché l’autrice illumina un periodo del quale tradizionalmente si pensa di conoscere gli avvenimenti, in realtà legati esclusivamente a poche, isolate personalità come Darwin: gli albori della teoria dell'evoluzione che ancora faceva i conti con la posizione di matrice religiosa dei creazionisti, i quali ritenevano il mondo fosse uguale a come lo avesse creato Dio 6000 anni prima.
La prosa dall’andamento piano e scorrevole ben si presta a far gustare ogni pagina di un romanzo che è allo stesso tempo “tradizionalmente ottocentesco” nel senso completo del termine, ma perfettamente adatto ai gusti di un lettore moderno che sia pronto a evadere immergendosi nell’atmosfera di un piccolo villaggio inglese a strapiombo sulla Manica e delle “strane creature” che popolano la sua scogliera.

Claudia Consoli