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Guerra e denaro: le grandi potenze secondo Paul Kennedy

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Ascesa e declino delle grandi potenze
di Paul Kennedy
Garzanti, 2001 (I ed. 1987)

Quando lo storico inglese (ma americano d'adozione) Paul Kennedy pubblicò l’ampio studio intitolato The Rise and Fall of the Great Powers, esplose un caso politico che investì persino la campagna presidenziale dalla quale sarebbe poi uscito vincitore George Bush senior (1989-1993). Sorge spontanea la domanda: come poteva un libro, che in circa 800 pagine racconta più di cinquecento anni di storia, rivelarsi tanto provocatorio per l’America degli ultimi anni Ottanta?
Rispondere a questo quesito, in effetti, significa spiegare la profonda attualità del lavoro di Kennedy, e per farlo occorre partire da molto lontano. Tanta storiografia, dall’età classica a quella contemporanea, è infatti attraversata da una linea “organicistica”, che vede lo Stato come un organismo biologico, sottoposto a tutti gli eventi caratterizzanti le creature viventi. In poche parole: Rise and Fall, ascesa e declino.
A questa nozione occorre aggiungere un pizzico di relativismo: perché, Kennedy non smette di ricordarcelo, i concetti di “potenza” e di “ricchezza” sono quanto mai relativi. La grandezza di uno Stato si misura rispetto a quella dei propri antagonisti. Così, può capitare che un colosso come l’impero asburgico, dalle grandiose premesse dinastiche del Cinquecento, sia destinato a fallire per l’intervento congiunto di alleanze d’opposizione. Ma può capitare anche che un “porto franco” dell’Europa occidentale, la piccolissima repubblica olandese, riesca a tenere in pugno l’Europa per più di un secolo.
Perché sorgono alcune potenze? E perché, nonostante la loro forza, finiscono col fallire? Paul Kennedy sostiene una tesi tanto semplice quanto innovativa, che mette in relazione la sua passione per la strategia militare con ciò che muove il mondo e, per dirla con Vespasiano, non olet: il denaro.
La verità, secondo Kennedy, è che la vulgata secondo cui la guerra, e quindi l’investimento da parte delle grandi potenze nell’industria bellica e nelle conquiste, rappresenta una fase di sviluppo per quello stato, è falsa. Proteggere un territorio troppo esteso, coinvolgersi in guerre logoranti e dispendiose, far pendere l’ago della bilancia verso l’impegno militare: questa, in molti casi, è stata la causa del declino di una grande potenza. “Espresso in questi termini, suona aridamente mercantilistico, ma la ricchezza è in genere necessaria per sostenere la potenza militare, così come la potenza militare è di solito necessaria per conquistare e proteggere la ricchezza.”
Una relazione strettissima, quella tra ricchezza e potenza militare (dove ricchezza vuol dire “capacità di produrre e arricchire le casse dello stato”), un equilibrio precario e facile da spezzarsi.
Basta scorrere le pagine del saggio per rendersene conto: impero spagnolo, Francia assolutistica prima e napoleonica poi… Stati Uniti d’America. Mentre paesi come la Cina avanzano prodigiosamente nell’aumento delle proprie capacità produttive (spendendo assai meno nel campo militare), l’occidente si interroga sul suo stato di salute. Siamo nell’era della globalizzazione, e molto è cambiato dal momento in cui sorsero i primi “imperi della polvere da sparo”, ma le parole denaro, crisi, bancarotta e guerra hanno ancora lo stesso significato: e il libro di Kennedy offre un intelligente e completo quadro d’insieme, grazie al quale non potremo di certo tornare a guardare la storia con gli stessi occhi.

Laura Ingallinella