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Poeti in ascolto - II - Francesca Genti

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Francesca Genti è stata all'Imbarcadero pavese, per un aperitivo letterario il 3 giugno scorso


Francesca Genti è una ragazza torinese, e vorrei sottolinearlo, perché a Milano ha portato quell’apertura mentale, quella visione un po’ amara e tanto accesa che solo nei ragazzi torinesi ho trovato così. Ha una bellezza semplice, senza orpelli, e una birra gialla in un bicchiere di plastica trasparente: a lei, si capisce, la birra piace dentro quel bicchiere, dal bordo un po’ tagliente, perché non è rifinito, e non ha pretese. Ci presentiamo a mano tesa, e la sua è una bella stretta, pare quasi un abbraccio, un ringraziamento per partecipare all’incontro della serata, una ricerca di amicizia. Ha gli occhi vigili, Francesca, sanno guardare tutti i presenti, e anche quelli che stanno ancora scendendo le scale, vicino al Ticino, sotto il tramonto. Aspettiamo insieme che arrivi l’orario, c’è qualche battuta, poi Francesca si mette comoda – a gambe incrociate, sopra il bancone del tecnico-audio – e ci trova tutti lì in attesa.

Comincia, fruga tra le pagine, si fa introdurre da Alfonso M. Petrosino, presentatore della serata, tra una battuta e la ricerca di una poesia dalla sua prima raccolta, Il vero amore non ha le nocciole. Ci racconta che le poesie lì dentro, raccolte nel 2004 per Meridianozero, in realtà provengono da una grande selezione, e si capisce che sono partite con gli anni dell’adolescenza, e adesso leggerle ha un peso nuovo, una netta esposizione di sé. Specialmente se a queste si sommano i testi di Poesie d’amore per ragazze kamikaze, recentissima raccolta del 2009 (Purple Press, Roma), dove si fronteggiano poesie nuovissime. Ma non è un vero scontro con la sua prima opera, anzi, sembra che già nel Vero amore non ha le nocciole ci siano tutti i caratteri della poesia di Francesca.

Perché già qui si trova la commistione spudorata di vocaboli contemporanei, quotidiani, a volte perfino bassi, uniti a parole della tradizione. Per farlo, preferisce versi brevi, li rima, li accosta, li separa con la brutalità di spazi bianchi frequenti, oppure li fa finire di colpo, con chiuse secche, dal gusto epigrammatico. È lei che detta le regole della sua poesia, e a noi lettori non resta che farci rapire da quest’andamento di filastrocca che ammazza ogni banalità coi contenuti.
Non mancano flash sulla società del consumo, artificiale e priva di vero interesse, così in contrasto con la contemplazione della natura e di quella Milano tanto presente:

LE FOGLIE D’EDERA DEL CASTELLO SFORZESCO
le guardo frusciare nel vento
dialogare con il sole e il prato.

sono molto felice in questo momento
saldata con il creato.

(tutto il resto per me non conta niente
tutto il resto è un merdoso ipermercato).


Troviamo poi pezzi sui parenti, gli amici, ma più spesso ci sono pagine su di sé, sulla sofferenza della crescita e sull’estasi dell’osservazione, che è resa possibile solo in una circostanza di solitudine:

CONTEMPLARE IL DOLORE NELL’ACQUA
intrisa di senso di colpa
profumata di bucato solitario.

ho tantissimi amici per la strada.

ma se voglio il piacere senza macchia:

devo stare

in silenzio
da sola
in segreto

comporre un settenario.


O ancora:

È ETERNO SOLAMENTE IL DESIDERIO
quindi non riesco a prendere sul serio:

gli anelli di famiglia i matrimoni la festa
di natale pasqua e le altre tradizioni.

(sono una nuvola rigonfia di tempesta
un vecchio frocio senza più illusioni).


Altrove ricorre un interlocutore silente, un amante che non risponde, a cui Francesca dedica ricordi, promesse e speranze (perché, in fondo, «è l’amore la bestia che ci salverà»), quando non è dolore spurgato direttamente dal cuore. Lo stesso risvolto erotico, così presente, è vissuto da una bambina cresciuta, ma non abbastanza da perdere la tenerezza e i risvolti inaspettati, a volte vissuti con commovente purezza:

È STATO BELLISSIMO NON BACIARTI
in fondo alla panchina desolata.
con il viale in prospettiva sullo sfondo.

con te io mi isolo dal mondo.

abbiamo inventato un’assurda giornata:
malinconica implosiva musicale
enigmatica sommessa smisurata.

sento il dolore del plesso solare
sento la testa piena ma svuotata.
esattamente come in terza elementare
la prima volta che mi sono innamorata.


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scritto da Gloria M. Ghioni


* Le poesie sono tratte da Poesie per ragazze kamikaze, Roma, Purple Press, 2009