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Tutto scorre, ma non è detto che non ci si possa fermare

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Francesco Scatigno,
Lo scarabeo

edizioni Bastogi
pagg. 43

prezzo 7 €

Lo scarabeo, che il titolo e la copertina suggeriscono, era ai tempi e nei luoghi degli antichi faraoni un animale sacro rappresentante in un certo qual modo la nozione stessa del divenire. Infatti al momento del trapasso per propiziarne l'arrivo nell'Aldilà era comune usanza inserirne qualche effigie nei sarcofagi che etimologicamente mangiavano le carni per restituire la libertà all'anima del defunto. In realtà in questo agile volumetto, poco più che un racconto lungo in effetti, lo scarabeo si presenta come un oggetto apparentemente inutile ai fini narrativi ma che ad una lettura più attenta si rivela essere la vera chiave portante di tutta la narrazione, che senza questa interpretazione potrebbe rivelarsi un po' futile e scontata. Gli eventi seguiti da una morte in famiglia tacitamente accettata dal "moriturus" potrebbero sviare il lettore più sprovveduto ad intendere l'autore come l'ennesimo scrittoruncolo che gioca sulle passioni umane per attrarre il pubblico (e non faccio esempi in tal senso, intelligenti pauca). Ma non è così. Non ci troviamo certo dinanzi ad un narratore particolarmente ricercato o completamente estraneo alla vicenda, ma il suo stile è fatto di brevi ed incisive proposizioni, perlopiù riflessioni e non descrizioni, che ricomposte come i tasselli di un puzzle restituiscono un'immagine d'insieme della realtà letteraria (perché non si scrive mai il vero, ma il verosimile) sicuramente pensata e ragionata. L'incipit in versi, che riprende tanti temi dalla filosofia antica fino a quella moderna (Socrate, Eraclito, Leibniz ecc...), sintetizza e specifica il significato di una trama certamente esile ma non insignificante. Il senso complessivo dell'opera è da leggersi con una certa cautela, macchiato qui e lì da un mistico cripticismo: la morte, nella sua accezione più fisica, non è altro che un passaggio, un proseguimento di un viaggio di cui bisogna essere consapevoli. E qui la scoperta di Renato che la accetta silenziosamente rifiutando ogni cura al proprio male, poiché è consapevole di dover continuare il suo viaggio e di essersi fermato solo in una tappa intermedia per ora (come un novello Odisseo, sua moglie prende il nome di Calipso). Il frutto di questa tappa intermedia è la figlia Rebecca, vera protagonista del racconto che accoglie, all'inizio con una certa difficoltà e poi completamente, il messaggio del padre deponendogli nella bara uno scarabeo nero di pietra.
Eraclitea la conclusione del panta rei, ma non finisce qui. E' vero sì che tutto scorre, ma se l'acqua del fiume arriva al mare la nostra vita dove va a finire? Nel punto d'arrivo che c'è dopo la morte, ci risponde Scatigno. Prima di questo arrivo ci si può tranquillamente fermare, ma sempre nella consapevolezza di non aver raggiunto nessun punto stabile di equilibrio. Il mondo appare così come un giocattolo che dopo la morte non è più adatto. Concludendo con le parole dell'autore - la morte, quella voluta, è il momento in cui si capisce il gioco e lo si affronta consapevolmente, si smette di essere bambini innocenti e si diventa consapevoli delle proprie azioni - . E il "giocattolo" del mondo è pronto per passare nelle mani di chi verrà dopo di noi.